Cattura

Nel libro di Garlini l’amicizia con Cappello e il Friuli che non c’è più

Si sorride. Ci si emoziona. Si entra in punta di piedi in un gruppo di giovani – visionari, infervorati e splendidamente intrepidi – che seppe respirare e mettere in versi tutta la poesia di cui è capace una terra straordinaria, ma silenziosa come il Friuli. È questo ciò che attende il lettore che decida di avventurarsi tra le pagine de «Il canto dell’ippopotamo» (Mondadori), l’ultimo romanzo di Alberto Garlini (qui il podcast dell’intervista a «Libri alla radio») che, grazie a una narrazione intessuta di frammenti di memoria, ci fa entrare nelle pieghe della sua amicizia con il poeta Pierluigi Cappello.
È una scrittura intensa quella di Garlini, innervata della preziosa fatica di chi pesca a fondo dentro di sé sentimenti e ricordi, senza risparmiarsi, nemmeno quando in agguato c’è il dolore. E l’intensità ci agguanta anche quando ci viene dato conto di un episodio divertente, quell’ironia – statene pur certi – vi catturerà e vi troverete a ridere insieme a quella carovana di scrittori, attori e artisti vari che furono i «Cercaluna». E del primo incontro con Cappello, nell’amideria di Chiozza, Garlini scrive: «Per farla breve, quando ho visto Pierluigi che lasciava planare i fogli nella luce e nei ghirigori di fumo, mi è stato chiaro che era il poeta più sensibile alla parola che avessi mai incontrato. Fin qui niente di sorprendente, perché di poeti ne avevo incontrati pochi, ma mi fu anche chiaro che era il poeta più sensibile verso la parola che avrei incontrato in tutta la mia vita. All’epoca, e forse anche oggi, nonostante l’enorme ottusità che mi caratterizza, mi bastava poco per capire se la pagina teneva, se le parole che ascoltavo formavano una voce. Nel suo caso la voce era talmente intensa che non serviva neppure seguire lo sviluppo logico della frase perché accoglievi le parole con una coscienza diversa da quella intellettuale, la sentivi attraverso il corpo». Credo siano le parole che chiunque abbia hanno avuto la fortuna di ascoltare Cappello abbia sempre cercato (invano) per raccontare quell’esperienza.
Da lì in poi c’è la storia di un’amicizia che è anche narrazione della formazione e della maturità letteraria dei due. Scopriamo così un Pierluigi Cappello che sta ancora cercando la propria forma, che aveva pubblicato pochissimo, ma che per tutti era già il Poeta. «Il canto dell’ippopotamo» è però anche un romanzo emozionante e bellissimo sulla forza straordinaria della poesia e – soprattutto – della poesia in Friuli. Perché sullo sfondo – non senza una punta di disincantata nostalgia – c’è il Friuli degli anni Novanta che nelle sue notti veniva attraversato da una linfa nuova, dall’arte della poesia vissuta nelle piazze dei piccoli paesi, attraverso la magia inebriante della festa e del teatro. Un libro, insomma, che è un dono a chi ama il Friuli, a chi ama la poesia, a chi ama la vita.

Recensione pubblicata su «La Vita Cattolica» del 10 aprile 2019

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