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Europa: le nubi di oggi, 20 anni fa sull’orizzonte di Srebrenica

Vent’anni fa cadeva la città bosniaca di Srebrenica. Qualche giorno dopo, l’11 luglio, sarebbe iniziata la mattanza dei bosgnacchi. Diecimila morti, uccisi in una manciata di giorni. Esecuzioni a ritmo di fabbrica. Tutto sotto gli occhi dell’Onu, in una zona che i caschi blu, al contrario, avrebbero dovuto proteggere. Tutto nel cuore dell’Europa.

In questi giorni (come ad ogni anniversario) si inseguono le notizie di dettagli inediti sui fatti di allora. Stando a un’inchiesta dell’Observer – fatta sulla base di alcuni documenti declassificati – emergerebbero gravissime responsabilità di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna e delle stesse Nazioni Unite che, nel segno della realpolitik, preferirono sacrificare Srebrenica, o quanto meno non impedirne il massacro. Non a caso di lì a 4 mesi sarebbero stati siglati gli accordi di Dayton.

In tutta onestà non credo che servisse scomodare documenti declassificati, bastava dare un’occhiata, su youtube, ai video disarmanti in cui i soldati del contingente olandese, il famoso “Dutchbat”, accolgono il generale Ratko Mladic. Si vedono vergognose strette di mano condite da abbondante rakija e poi gli occhi atterriti di chi pochi giorni dopo sarebbe stato massacrato.

Sarà il mio personale sguardo negativo di questi giorni, ma credo che vent’anni fa le nubi sul nostro futuro europeo fossero già tutte addensate all’orizzonte. La crisi greca, il gonfiarsi dei populismi, l’indifferenza verso il dramma della profuganza, l’immobilità di fronte al disintegrarsi del Medio Oriente. Sono tutti nodi che si raggrumano oggi tra le nostre mani, ma che a me sembrano avere lo stesso sangue del lacerante egoismo di allora. Restammo a guardare l’assedio di Sarajevo e il massacro di Srebrenica, esattamente come oggi facciamo con Aleppo o Kobane. In seguito avremmo lasciato quelle terre ferite in balia di un sistema amministrativo mostruoso che invece di pacificare ha incancrenito tante situazioni che potevano essere gestite in maniera diversa. Ci saremmo poi disinteressati dell’insediarsi di un radicalismo estraneo all’Islam della Bosnia, lasciando che altri si occupassero di colmare i vuoti, economici ed esistenziali, della guerra.

Sabato al memoriale di Potočari, oltre alle 100 mila persone che ricorderanno i propri morti, è attesa una folta parata di autorità. Per l’Italia ci saranno anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e la presidente della Camera, Laura Boldrini. Entrambi nella loro imbarazzante inutilità.

Oggi, invece, da Tuzla, ha preso il via la «Marcia della vita», cento chilometri in 4 giorni sullo stesso percorso che fecero gli uomini in fuga da Srebrenica in quel luglio 1995. L’ultimo tratto, il 10 luglio, partirà da Konjevic Polje, per raggiungere, appunto, il memoriale di Potočari.

Chissà se percorrendo quella via crucis lastricata di fosse comuni e corpi (è bene ricordarlo, non tutti ancora ritrovati) qualcosa si smuoverebbe nella coscienza della politica di oggi. Temo di no. Intanto però ci siamo anche noi. Noi che a lungo abbiamo lasciato da parte le nostre responsabilità e che forse oggi dovremmo ricominciare a prenderci a cuore, con umanità, quel che accade attorno a noi.

 

Per chi volesse qualche lettura per capire quel che accadde, ecco un paio di consigli:

Emir Suljagić, Cartolina dalla fossa, Beit edizioni.

Luca Leone, Srebrenica. I giorni della vergogna, Infinito Edizioni.

Luca Leone e Riccardo Noury, Srebrenica. La giustizia negata, Infinito Edizioni.

Elvira Mujčić, Al di là del caos, Infinito Edizioni.

La fotografia in testa al post è di Elvis Barukcic/Getty Images.

 

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