Un viaggio schietto nella densità cupa dei pensieri di chi, negli anni ’70, per dar corpo a un mondo più giusto, scelse l’opzione della lotta armata e, da quel tumulto – in cui convivevano in maniera schizofrenica ideali e violenza –, ne uscì impunito, pagando il dazio pesante di un segreto inaccesso anche agli affetti più cari.
È questa la storia che si dipana nel romanzo d’esordio di Daniele Stroppolo: «Il caos, la bomba, il caos», ultimo nato della casa editrice udinese Bottega Errante (in libreria da mercoledì 5 settembre). Il protagonista – che si descrive come «funestato e funesto, forse incapace, non titubante» – nella solitudine della sua casa vuota svela al lettore proprio quel segreto attorno a cui ha costruito la propria esistenza perennemente in bilico.
L’antefatto – realmente accaduto – è datato 1975. Alla cascina Spiotta, vicino ad Acqui Terme, due brigatisti della colonna torinese sequestrano il figlio dell’imprenditore vinicolo Gancia. All’arrivo dei carabinieri esplode la tragedia. Un appuntato muore, così come la «compagna» Margherita (moglie di Renato Curcio). La ricostruzione di quel sanguinoso evento – che segnò un salto di qualità nella violenza adoperata dalle Brigate Rosse – non fu mai del tutto chiarita nei dettagli. Proprio qui si innesta il racconto di Stroppolo che dà voce al brigatista che era insieme a Margherita e che riuscì a fuggire dileguandosi nei boschi. Ma cosa c’è in quel racconto? Innanzitutto le «ragioni» di allora – enucleate con il rigore di un’ideologia autoassolvente, anche nella consapevolezza del fallimento –, il reclutamento, la fuga e la vita che venne dopo: un segreto, un lavoro, la moglie Angela e il figlio Andrea, fragile e silenzioso, l’oscurità. «C’è una distanza che non so colmare con il me stesso di allora» confessa il protagonista.
Stroppolo – udinese, classe 1978, insegnante di Lettere in un istituto tecnico di Trieste – si cimenta con in un’impresa rischiosa, avventurandosi su un terreno scivoloso. A differenza di altri, però, lo fa con efficacia, perché le parole di quel «donchisciotte insanguinato» – da cui prendiamo le distanze – sembrano autentiche, non ricostruite 40 anni dopo da chi allora non era nemmeno nato. Nella quarta di copertina, dell’autore si legge: «Ama la lettura e la storia del ‘900, perché ritiene che interrogando il secolo scorso si possano trovare alcune risposte per gli enigmi di quello attuale». Ed è proprio questo che fa anche nel suo romanzo, non a caso, infatti, il protagonista, dopo aver rimestato il suo controverso passato, si chiede: «Ma è davvero tutto qui? L’ambizione a migliorare il macrosistema è terminata? È finita la storia, come si vorrebbe?». Non è una domanda da poco nella precaria incertezza e nello smarrimento di oggi.
Infine, è raro avere tra le mani una scrittura così colta e profonda, capace però di tenersi alla larga dall’antipatico rischio della leziosità (Daniele Stroppolo, «Il caos, la bomba, il caos», Bottega Errante Edizioni, 152 p., 14 euro).
Recensione pubblicata su «La Vita Cattolica» del 5 settembre 2018 (qui la pagina in pdf).
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