patti smith

#concertforpasolini: la straordinaria forza visionaria della musica (e poesia) di Patti Smith

Non aspetto domani. Travolta dall’inarrestabile energia e dall’incrollabile fede nell’uomo, nella forza dirompente dell’essere non soli, ma insieme nel mondo che attraversano (e muovono) la musica di Patti Smith, la narrazione spinge e non può attendere. Così scrivo ora anche se è tardi.

Un concerto straordinario quello della sacerdotessa del rock, stasera a Villa Manin, tappa del tour per i 40 anni di Horses – il suo primo album registrato agli Electric Lady Studios di New York -, celebrazione che, nella data friulana, si intreccia con un altro quarantesimo, quello della morte di Pier Paolo Pasolini. Così il concerto diventa unico, trasformandosi in #concertforpasolini.

La cornice è stupenda, il cortile d’onore. La pioggia si è fermata e la distesa di sedie bianche si riempie, ma dopo un paio di canzoni (tra cui una strepitosa Free money), su Horses, lei chiama. In un attimo sotto il palco – con la pioggia che ha ripreso a scendere (e che non si fermerà per tutto il resto del concerto) – ci stringiamo attorno a lei, nell’unico modo in cui si può ascoltare la sua musica, ballando e cantando. Sul palco, ad accompagnarla ci sono due mostri sacri, compagni di una vita, il chitarrista Lenny Kaye e il batterista Jay Dee Daugherty.

Da Gloria a Break It Up ciò che unisce canzone a canzone – oltre alla disarmante naturalezza e alla sorprendente grinta di questa rocker quasi settantenne – sono l’inno alla libertà, all’indipendenza e l’amore per la vita, nonostante le sue tantissime cicatrici. Qualche tempo fa, a Repubblica, Smith aveva dichiarato che questo tour celebra anche la meraviglia dell’esserci ancora e credo che davvero stia tutta lì l’emozione fortissima di Elegie – scritta quarant’anni fa in memoria di Jimi Hendrix – e che stanotte Patti Smith ha dedicato a tantissimi “amici”, da Pier Paolo Pasolini a Kurt Cobain e Lou Reed, da Robert Mapplethorpe (che scattò la foto di copertina di Horses) a Amy Winehouse e Joey Ramone, fino ad arrivare, ovviamente, all’amore della sua vita Fred “Sonic” Smith, a cui, verso la fine del concerto, dedicherà la bellissima Because the night.

Dopo uno spazio solo per la sua band – che ci delizia con un tributo ai Velvet Underground – e qualche pezzo da altri album (come poteva mancare People have the power?), il concerto si chiude nell’unico modo possibile, come Horses, con My generation, cover degli The who. Il manifesto di quella generazione che ci ha regalato sogni, musica e visioni, che in parte ci ha tradito e che a nostra volta abbiamo tradito noi. «I hope I’ll die before I get old» cantava Smith nel 1975. Lei, a differenza di molti suoi compagni di viaggio, è ancora qui, a sorridere, danzare e cantare, trasformando la vita in poesia, e sopratutto per ricordarci – come ha fatto ieri prima di lasciare il palco – tre cose fondamentali: «Be happy, be strong, be without fear».

Qui le foto del concerto, gli scatti sono di Martina Barbon.

 

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