Alberta Basaglia

Con Arum a Venezia, in dialogo con Alberta Basaglia

«Il nostro desiderio è che il numero di persone che possono accedere al materiale qui conservato, per studiare il movimento di cui Franco Basaglia e Franca Ongaro sono stati parte, sia il più alto possibile. Questo perché le carte, i documenti dell’archivio raccontano la storia di quella rivoluzione, il “dietro le quinte”, il clima che si respirava, spiegando anche quali possono essere gli strumenti e le strade per continuare oggi quel lavoro e scongiurare così il rischio di un pericoloso arretramento». Siamo a Venezia, a Palazzo Loredan. Qui, da un anno e mezzo, ha trovato casa l’Archivio Basaglia, ospitato dall’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti. A raccontare è Alberta Basaglia, figlia di Franco e Franca. L’occasione è significativa, la visita, infatti, chiude idealmente l’importante progetto realizzato dall’associazione Arum nel centenario della nascita di Franco Basaglia, iniziativa che ha visto – tra le diverse attività – la costituzione sul territorio di numerosi gruppi di lettura che hanno riletto (o letto per la prima volta) i testi di Basaglia e Ongaro. Insomma, un “incontro” con lo psichiatra che chiuse i manicomi, proprio nel momento storico in cui la Salute mentale paga il conto più salato della crisi che sta vivendo il Sistema sanitario nazionale. E in visita all’archivio ci sono proprio i rappresentanti dei gruppi di lettura, operatori e operatrici, persone che fruiscono dei servizi dei Centri di Salute mentale e anche i loro familiari.

Continuare un percorso
«Non è questo un luogo che mira a custodire ricordi, a celebrare due figure – spiega Basaglia –, è un luogo che vuole restare vivo, che punta ad alimentare un cammino». Un cammino – precisa più volte – che non è stato solo dei suoi genitori, ma che anzi ha avuto dimensione collettiva: «Parliamo di un movimento che ha rappresentato una lotta fondamentale per il nostro Paese, una lotta che non è stata solo di Franco e Franca, ma di tutte le persone che vi hanno preso parte in quel momento, ma anche di quanti e quante oggi continuano, con grande difficoltà, a portare avanti quel discorso».

Com’è nato l’archivio
«All’indomani della morte di nostra madre – continua Basaglia, facendo un passo indietro nella storia –, mio fratello e io abbiamo pensato immediatamente che tutto il materiale che si trovava a casa nostra dovesse confluire in un archivio a disposizione della collettività. E così abbiamo fatto, dando vita a una realtà che oggi è riconosciuta come d’interesse storico dal Ministero della Cultura. Per dieci anni la sede è stata sull’isola di San Servolo, dove si trovava uno dei due manicomi di Venezia che, dopo la chiusura grazie alla legge 180, è stato ristrutturato dalla Provincia di Venezia e trasformato in un polo culturale. Col tempo però siamo cresciuti e, piano piano, sono maturate anche le condizioni per una nostra presenza in centro città, in un luogo più facilmente raggiungibile da chi vuole fare ricerca. Palazzo Loredan è bellissimo, pieno di saloni enormi, molto importanti, a noi però piace tantissimo occupare gli spazi della “soffitta”, ci restituisce una dimensione di casa e ci sembra che i ricercatori e le ricercatrici possano in qualche modo sentirsi avvolti da questo clima».

Il “dietro le quinte” della storia
Ma cosa si trova in questo archivio? «Tutti i libri che avevamo in casa – spiega Basaglia –, ma soprattutto le “carte” che consistono in gran parte nelle lettere che i nostri genitori hanno ricevuto. Il lavoro che stiamo cercando di fare in questo momento è recuperare le lettere che loro, a loro volta, avevano scritto nell’ambito di quella corrispondenza, così da ricostruirla in maniera compiuta. Stiamo dunque collaborando con archivi di tutto il mondo perché l’impegno di quegli anni aveva davvero una dimensione internazionale». Un’altra parte della documentazione – delle “carte” – è costituita dalle varie fasi di scrittura dei libri che negli anni sono poi stati pubblicati. E ancora, gli articoli di giornale, i testi degli interventi ai convegni. Un’altra parte ancora è costituita dall’archivio dell’attività parlamentare di Franca Ongaro, nel 1983 venne infatti eletta in Senato con Sinistra Indipendente e vi rimase per due legislature consecutive, fino al 1992.

Una complicità preziosa
«L’aspetto per me importantissimo di questi documenti – racconta Alberta Basaglia – è che proprio lì dentro si trova traccia anche dei rapporti affettivi, di relazione, che c’erano tra quelle persone che diedero vita al movimento, ed è il grandissimo valore aggiunto dell’archivio. Dalla corrispondenza si capisce che quella lotta non è stata solo per arrivare a una conquista, è stata man mano costruita anche attraverso la complicità e la condivisione delle persone che lavoravano insieme». A frequentare l’archivio sono soprattutto donne, ma più in generale studenti e studentesse che stanno iniziando a lavorare alla loro tesi di laurea o di dottorato. Due lavori importantissimi sono stati pubblicati nel 2024: il libro inedito di Franco Basaglia, curato da Marika Setaro, «Fare l’impossibile» (Donzelli) e «Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro» (Donzelli) di Annacarla Valeriano. Entrambe le ricercatrici hanno attinto a materiali dell’archivio.

Da dove cominciare?
Tra le domande poste ad Alberta Basaglia durante l’incontro anche un “da dove cominciare” a conoscere da vicino Basaglia visto che i percorsi accademici sempre di più lo mettono da parte? I testi di più facile lettura sono «Le conferenze brasiliane», un vero e proprio dialogo tra persone, imprescindibili poi «L’istituzione negata» e «Cos’è la psichiatria».
Significativa anche la parte di materiale fotografico e audiovisivo, l’Archivio sta lavorando con le Teche Rai e la Cineteca di Bologna per costruire una rete di tutti i documenti video che riguardano quel periodo, documentando anche altre esperienze.

Con i più piccoli
Infine, il lavoro con i più piccoli, con i giovani? «Al di là del fatto che io mi diverto tantissimo a lavorare con loro – risponde ridendo Alberta Basaglia – è un tassello fondamentale del nostro impegno. Una volta che si cresce avendo imparato a relazionarsi con l’altro, avendo capito che ci sono tanti modi di essere, una volta che si è imparato ad accettare il fatto che non siamo tutti omologati, non si torna più indietro, ed è proprio questo il cammino che dobbiamo continuare a percorrere come società».
Anna Piuzzi

Pubblicato sull’edizione di mercoledì 30 ottobre del settimanale diocesano di Udine.

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