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Caporalato in FVG: il convegno di Libera e l’intervista con Marco Omizzolo

«Caporalato, sfruttamento lavorativo e tratta internazionale sono fenomeni che riguardano l’Italia tutta intera, dalla Sicilia al Friuli. Detto questo, è poi però necessario fare un passo avanti e avere consapevolezza del fatto che di regione in regione – a volte anche di provincia in provincia –, questi fenomeni assumono caratteristiche diverse: un conto è parlare di caporalato a Rosarno, un conto è parlare di ciò che accade sul territorio friulano». Inizia da qui la mia chiacchierata con Marco Omizzolo, dal provare cioè a decostruire lo stereotipo (durissimo a morire) che il Friuli Venezia Giulia non è terra di sfruttamento lavorativo, né – tantomeno – di caporalato.

Chi è Marco Omizzolo

Sociologo, Omizzolo è impegnato da anni nel denunciare lo sfruttamento dei lavoratori migranti, fenomeno che ha voluto studiare sul campo, addirittura lavorando come bracciante infiltrato in diverse aziende agricole dell’Agro Pontino, reclutato da caporali indiani. In India ha poi seguito un trafficante di esseri umani per indagare il sistema di tratta internazionale. Docente universitario e presidente di «Tempi Moderni», ha contribuito alla stesura della legge 199 sul caporalato e, nel 2016, a Latina, è stato animatore dello sciopero di oltre quattromila braccianti indiani contro caporali e padroni. Nel 2019 è stato nominato, dal presidente Sergio Mattarella, Cavaliere della Repubblica per meriti di ricerca e impegno contro il caporalato e lo sfruttamento. Per motivi di giustizia, Il mio nome è Balbir (scritto insieme a Balbir Singh) e Laboratorio criminale (scritto con Roberto Lessio) sono i libri che ha pubblicato per People. Omizzolo sarà il relatore di rilievo di Noi siamo Friuli Venezia Giulia. Storie di uomini e caporali della “due giorni” organizzata da Libera – al Centro Balducci di Zugliano venerdì 24 e sabato 25 gennaio (qui il programma completo) – proprio per far luce su tale fenomeno e per dar conto delle ricerche e indagini che sta conducendo su questa tematica almeno da tre anni.

Viticoltura e edilizia

«Il caporalato anche in Friuli – mi spiega Omizzolo – riguarda lo sfruttamento nelle campagne, ma con una particolare connotazione. C’è infatti un’incidenza nel settore vitivinicolo. Non parliamo quindi di un’agricoltura povera o residuale, come in altre regioni, ma al contrario di un’agricoltura di alta qualità, ricca. E proprio in questo contesto, in specifici casi, ci sono lavoratori a cottimo, presi a giornata, pagati in nero e impiegati in condizioni durissime. Ma in Friuli questi fenomeni riguardano, ben più che altrove, anche l’edilizia e i servizi, dal badantato domestico a quello sanitario». C’è poi tutto il complesso capitolo della cantieristica navale.

La Rotta balcanica? Elemento caratterizzante

Gli chiedo quindi quanto la “rotta balcanica” sia un elemento caratterizzante il caporalato in Friuli. «Lo è tantissimo e non potrebbe essere altrimenti, è infatti una rotta che, letteralmente, abbraccia questo territorio, il Nordest. A giungere qui sono uomini e donne, ne ho conosciuti parecchi, che dopo un’esperienza fatta di torture e violenze, quando arrivano in territorio italiano, legittimamente cercano un pezzo di pane, una bottiglia d’acqua e un po’ di serenità. La loro condizione però è di emarginazione, esclusione e di fortissima vulnerabilità, è chiaro che quindi sono facilmente sfruttabili, ricattabili. Soprattutto se manca l’accoglienza, se mancano le tutele, se manca una politica di integrazione. Ed è questo un fenomeno che si va allargando». «Ancora una volta dunque – continua Omizzolo – non è solo il problema del singolo imprenditore criminale che decide di sfruttare qualcuno, ma di riforme, riforme delle politiche di accoglienza e più in generale delle politiche sociali. Serve poi un impegno più ragionato delle Regioni. Da sociologo sono molto affezionato alla figura di Abdelmalek Sayad, sociologo e filosofo algerino. Ebbene lui parlava di “effetto specchio” delle migrazioni, nel senso che quando non riconosciamo diritti alle persone migranti a rimetterci è la nostra democrazia che si indebolisce inesorabilmente. Su questa partita noi ci giochiamo la faccia. Non è solo questione di diritti sindacali, ma di democrazia».

E pensare che la morte di Satnam Singh – il bracciante indiano che nell’Agro Pontino è stato lasciato morire dal suo datore di lavoro, dopo un grave incidente – sembrava aver innescato, nella sua feroce disumanità, la possibilità di un’imminente una svolta. «È stata una fiammata – osserva con amarezza Omizzolo –. All’indomani di quella tragedia abbiamo sentito che ci sarebbero stati più controlli, che fatti del genere non si sarebbero mai più dovuti verificare. La realtà delle cose è che nel frattempo ci sono stati decine di Satnam. L’intervento repressivo è fondamentale, ma manca la politica: non si è ancora prodotta una riforma delle regole, delle procedure formali e informali che in questo Paese producono le forme di sfruttamento».

Il sistema delle quote (che non piace nemmeno a Rosolen)

Proprio in questi giorni in Friuli Venezia Giulia si sta parlando di “quote”, l’assessora regionale al Lavoro, Alessia Rosolen, ha dichiarato che il fabbisogno di manodopera non comunitaria è di 1160 lavoratori. Soprattutto Rosolen ha evidenziato che bisogna andare oltre il sistema delle quote messo in piedi dalla legge “Bossi-Fini” (datata 2002). Quanto quel sistema ha contribuito a favorire lo sfruttamento lavorativo? «Moltissimo – conferma il sociologo –. Una delle mie esperienze più note è di aver seguito un trafficante di esseri umani in Asia. Attraverso quell’esperienza ho avuto modo di osservare come parecchie delle persone reclutate nei loro luoghi di residenza da quel trafficante – che per altro era in combutta con imprenditori criminali italiani – arrivavano poi in Italia non irregolarmente, ma inserite nel sistema delle quote. Parliamo di persone che erano vittime di tratta (perché pagavano migliaia di euro per arrivare in Italia, indebitando la famiglia e diventando dunque ricattabili), ma al contempo erano inserite nel sistema delle quote previsto dalla “legge Bossi-Fini”, legge che col tempo è diventata il grande “cavallo di Troia” attraverso il quale le persone, anche minori, vengono portate in Italia per lavorare come schiavi. E questo non lo dico solo io, ma anche sentenze, inchieste e altri studi. È chiaro che la “Bossi-Fini” ha ormai fatto il suo tempo e va riformata, per cambiarla però non bastiamo io e lei, ma serve la politica. Bene che l’assessora abbia detto che serve andare oltre, ora però servono i fatti».

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