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Lucia, esempio di resistenza e di vita

«Una protagonista esemplare di resistenza e di vita». Lei è Lucia Annibali. Le parole, invece — dette con una voce attraversata da emozione sincera —, sono quelle di don Pierluigi Di Piazza che ieri sera (in una sala Petris gremita) ha presentato così questa donna straordinaria, ospite del Centro Balducci a Zugliano.

Quando tocca a lei scherza: «Hai già detto tutto tu». Ed effettivamente, nella sua introduzione (bellissima e toccante), don Pierluigi ha raccontato molto di Lucia, leggendo anche qualche passo del suo libro «Io ci sono». Ma Lucia trabocca di cose da dire e va dritta a quella più importante: «La verità è che io mi sento più me stessa di prima». Il confine tra il «prima» e il «dopo» è la disumana aggressione con l’acido che, il 16 aprile 2013, le devasta il viso e la rende (per fortuna solo per alcuni mesi) completamente cieca. È l’epilogo della sua storia di «non amore» e l’inizio di un nuovo cammino.

lucia_annibali_balducciParla del suo volto Lucia e sorride: «È il frutto del mio vissuto. Di una relazione violenta, certo, ma anche della mia forza, del mio attaccamento alla vita». Quella vita di cui ha riassaporato la «gioia» proprio in ospedale dove, da subito, è iniziata la «rinascita», dove ha preso corpo la «fiducia» in sé stessa. E non tace il dolore, nemmeno la «paura di morire». Racconta però che quel dolore, fisico e psicologico, è diventato «un’esperienza da condividere». «Ho interpretato quello che mi stava accadendo come una sorta di chiamata — spiega Lucia —. Ho capito che potevo trasformarlo, per me e per gli altri, in una grande forza». «L’esperienza dell’ospedale — continua — è stata un contatto con me stessa. Una prova di forza sostenuta dalla speranza e dal desiderio di farcela. È stato come se mi fossi “incontrata” per la prima volta». E ancora: «Il dolore, se lo sai accettare, se lo sai accogliere e se lo sai ascoltare, può regalarti qualcosa. E, soprattutto, convivere con il dolore ti rende più sensibile a quello altrui».

Quando don Pierluigi le chiede di raccontare «le dinamiche del “non amore”, dell’amore malato», spiega: «È un rapporto che incide negativamente sulla tua vita. Perennemente in crisi, piano piano ti consuma, ti toglie le energie vitali. E allora ti isoli, diventi insicura di te stessa. Invece questa ferita sul mio volto è stata la mia liberazione: oggi sono padrona del mio destino e penso che non c’è niente che io non possa realizzare se solo lo desidero». Da qui, quasi un monito. «La cosa più importante è coltivare i propri desideri, i propri sogni. E questa è una grande responsabilità perché abbiamo una sola vita e bisogna indirizzarla correttamente». Quel «non amore» era diventato per Lucia «una sorta di ossigeno, anche se tossico». «Un amico — continua — mi ha detto che bisogna seguire i sentimenti, ma non farsi guidare, condizionare da loro. Ci vuole anche razionalità». E l’amore buono? «È quello che ti migliora come persona, che cioè ti sprona ad essere una persona migliore». Gli applausi sembrano non finire.

Interviene anche il dottor Giuseppe Losasso, chirurgo plastico, che da 11 anni guida «Smile again», associazione friulana che opera in Pakistan proprio a favore delle donne che, come Lucia, sono state «acidificate». «Questo — sottolinea — non è un atto di violenza sulla donna, ma un crimine contro l’umanità. Quando ho iniziato ad occuparmi di questo problema in Pakistan non avrei mai pensato di parlare di “acidificazione” su una mia connazionale».

Quello che segue è un piccolo diluvio di domande e di interventi. E tra questi le parole che non ti aspetti. Di donne che si alzano in piedi e hanno il coraggio di raccontarsi: «Ciao Lucia. A me è andata meglio, mi ha solo incrinato tre costole». E ancora: «Anche io sono viva Lucia. Ha cercato di uccidermi due volte». In tanti prendono la parola per invocare pene più certe e più severe. Più attenzione per le vittime, prima che siano vittime. Più educazione per un cambiamento culturale radicale. Insomma tanto di tutto perché c’è tanto da fare. Tutti. Eppure, immancabile, c’è chi mi continua a dire che il mio «femminismo è antistorico».

Dimenticavo. Leggete il libro, è straordinariamente bello.

 

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