Alberto, ingegnere navale, si è trasferito a Rotterdam dove finalmente fa il lavoro che sognava e per cui ha studiato. Stefano è a Mosca. Segue cantieri e progetti di una città che cresce. A Martina – fresca di laurea in biotecnologie e con in tasca pure un’esperienza a Cambridge -, l’Australia ha spalancato le porte offrendole un super dottorato. Partirà tra meno di un mese. Andrea, invece, terrà duro ancora un po’ con l’assegno di ricerca da 500 euro al mese. Poi, se nessuno si farà avanti, accetterà la generosissima offerta di un istituto canadese che lo vuole ad ogni costo nel suo staff. Queste non sono storie di cui sono andata in cerca, ma semplicemente storie che ruotano attorno a me. Tutte di amici che negli ultimi mesi hanno ri-sintonizzato (o stanno ri-sintonizzando) le proprie vite altrove, lontano dall’Italia. Quell’Italia che intanto guarda – afona e immobile – i suoi giovani più qualificati che prendono il largo.
Le storie che invece ho cercato e raccontato – in «Nuovi cittadini del mondo» – sono una trentina, tutte di friulani under 30 che hanno fatto armi e bagagli portando le proprie competenze in ogni angolo del globo. Insomma. Proprio come i miei amici. E sia chiaro. Non sono tutti «cervelli in fuga», anzi, molti di loro hanno sempre sognato un futuro all’estero. Quasi tutti però mi hanno confidato di voler rientrare, un giorno, per mettere a frutto nel nostro Paese quello che hanno imparato nel mondo.
Ma l’Italia cosa offre loro? A dir la verità molto poco, e allora fa piacere leggere una buona notizia riportata oggi dal settimanale «Sette» del Corriere della Sera. L’azienda tessile Ermenegildo Zegna – che ha una lunga storia contrassegnata dalla lungimirante capacità di investire in progetti a favore del proprio territorio – mette a disposizione risorse per far studiare giovani italiani all’estero con la promessa che poi rientreranno in Italia per mettere a frutto la propria esperienza. Si parla di un milione di euro l’anno per 25 anni. Il progetto Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship offre, infatti, a «neolaureati italiani la possibilità di conseguire un master o un dottorato presso università o centri di ricerca di eccellenza internazionali» a patto che «una volta terminato il ciclo di studi di due o tre anni, facciano ritorno in Italia, pena la restituzione del finanziamento». Illumina il commento di Zegna che a «Sette» ha evidenziato: «Vorremmo occuparci non dell’oggi, ma del domani e vorremmo cominciare anche a dare corpo e risorse a un nuovo ciclo di pensiero che vede l’imprenditoria privata e familiare fare il primo passo nel contribuire al futuro del nostro Paese». Un modo semplice per dire che dei giovani e dunque del futuro di questo Paese devono farsi carico tutti, anche perché i dati non lasciano margine di ottimismo. Nello stesso articolo, infatti, si legge che tra i giovani dottori e dottoresse italiani sono «circa novemila ogni anno secondo le ultime stime» quelli che «dopo un soggiorno di studio all’estero non tornano più nel Bel Paese». Perché «il problema non è il master o la specializzazione oltre confine. Anzi, se in Germania è il 23 per cento dei giovani che decide di emigrare dopo l’università, e in Gran Bretagna il 25, in Italia, solo il 16 per cento opta per un’esperienza fuori casa. Il fatto è, che poi, non torna». E c’è chi ha provato a monetizzare questa spreco di capitale umano: «Si parla, per l’Istituto della Competitività, di un reddito mancato di 733 milioni di euro l’anno. O di una perdita netta, se si considerano le stime di Confindustria che valutano intorno agli 800 mila euro il costo allo Stato per la formazione di un ricercatore, di qualche miliardo di euro».
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