L’Afghanistan ci interroga. Ma non da oggi. E soprattutto, non da lontano.
Stando all’Istat, infatti, sono 1113 gli afghani accolti in Friuli Venezia Giulia, ma chi ogni giorno si occupa di migrazioni sa bene che i numeri di coloro che attraversano il territorio regionale per raggiungere Francia, Germania e il Nord Europa sono ben più alti. Persone in fuga da un Paese in cui – nonostante le promesse di futuro – la vita si è fatta insostenibile.
Nella “piazza del mondo”
È giovedì 19 agosto, sono le cinque del pomeriggio e come ogni giorno dalla fine del 2019, a Trieste – davanti alla stazione ferroviaria – scendono in piazza Libertà Lorena Fornasir, Gian Andrea Franchi e il loro carrettino verde.
Niente di nuovo. È ormai storia risaputa, curano i piedi di uomini e donne che arrivano dalla “rotta balcanica”. Eppure guardare quei gesti è sempre come la prima volta: si viene travolti da un senso profondo di gratitudine perché quelle mani non curano soltanto i migranti, curano anche noi, restituendoci l’umanità che come società abbiamo smarrito. E infatti la loro associazione – Linea d’ombra – riempie un vuoto di prima accoglienza che in una terra come la nostra non dovrebbe essere tollerato, ma ammettere che serve una struttura per i migranti in transito rimane un tabù.
Lorena e io ci siamo sentite il giorno prima. Sono qui per guardare, ascoltare e raccontare, ma mi avverte subito: non ha molto tempo da dedicarmi, è alle ferite dei ragazzi che deve pensare. E io non chiedo altro, è questo che sono venuta a documentare. Tutto di lei trasmette l’appassionata e radicale ostinazione che la attraversa: gli occhi magnetici che ti osservano guardandoti e vedendoti davvero, la calma risoluta di ogni suo gesto e di ogni sua parola.
Afghani in transito
I ragazzi che la aspettano (una decina) sono tutti afghani. Hanno sui 18-19 anni e sono partiti dal loro Paese almeno due anni fa, uno di loro, addirittura cinque. Tutti hanno provato il “game” una decina di volte. Un ragazzo originario di Kunduz racconta di essere stato respinto anche a Trieste: realizzo di avere davanti a me – con un volto, un nome e una storia – una delle 1300 persone che hanno subito la pratica illegale delle cosiddette “riammissioni informali” dall’Italia alla Slovenia di cui tante volte ho scritto.
Sono sfiniti, affamati, feriti, per quindici giorni hanno camminato – dalla Bosnia a Trieste – nei boschi, accompagnati dalla costante paura di essere fermati. Nei loro occhi non c’è solo la fatica, ci sono incredulità e felicità per avercela fatta ad entrare in Europa. C’è la preoccupazione – raccontano – per le notizie che arrivano dal loro Paese, l’angoscia per le proprie famiglie è grande. Ora però si affidano a Lorena, alla sua premura, alle sue cure. E lei mentre disinfetta, massaggia, lenisce, li guarda negli occhi e chiede ad ognuno qual è la sua storia.
Attorno a Linea d’ombra
Intanto attorno a loro si muove un mondo operoso. C’è Nomi, pakistano, arrivato in Italia nel 2016, che dà una mano facendo da ponte linguistico e culturale. C’è Ismail, pakistano pure lui, che fornisce informazioni legali e pratiche nell’ambito di un progetto della chiesa valdese, spiega come si arriva a Ventimiglia e a chi possono chiedere aiuto: «Gran parte degli afghani che passano di qua – mi spiega – sono diretti in Francia o in Nord Europa, questi ragazzi non fanno eccezione, solo uno di loro vuole raggiungere Milano dove ha un amico che lo può ospitare». Arriva poi Erika insieme ad altre due donne, dal magazzino hanno portato degli zaini, dentro ad ognuno ci sono scarpe nuove per sostituire quelle logore dei ragazzi, una maglietta e altri beni di prima necessità. C’è poi chi vuole documentare e denunciare la drammatica situazione dei migranti e far conoscere il prezioso lavoro di Linea d’ombra, come Elisa: è originaria di Mestre, ma vive e lavora a Valencia, sta trascorrendo qui, a Trieste, le vacanze con uno scopo ben preciso, ogni giorno con la sua Leica scatta fotografie e raccoglie storie nella “piazza del mondo”. Più in là un gruppetto di persone chiede e osserva, vogliono capire come poter dare un aiuto concreto: sorrido, il mondo è piccolo, tra loro c’è anche la scrittrice gemonese Mila Brollo.
L’Afghanistan che è qui
Parlo con Lorena e Gian Andrea, di quello che sta accadendo in Afghanistan: «Leggiamo ovunque disponibilità ad accogliere – mi dicono –, porte che si aprono, dichiarazioni a salvare chi ha collaborato. E tutti quelli che non hanno collaborato? Possono morire? E chi vive nei campi profughi della Bosnia, a Bihać e a Velika Kladuša, o chi tenta il “game” e viene rispedito indietro con violenza inaudita dalla polizia croata o respinto dall’Italia stessa? L’Afghanistan é qui alle nostre porte di casa, ma i confini di terra sono ferocemente protetti dai milioni di euro che l’Europa ha speso in “sicurezza” con droni, cani d’assalto, termo rilevatori, filo spinato. L’Afghanistan non è solo là, é qui, ma i confini restano blindati».
Lorena prosegue raccontandomi di due madri afghane che ha incontrato il 30 luglio proprio nei campi profughi di Bosnia (qui il resoconto della missione): «Erano disperate, durante l’ultimo “game”, a marzo, i loro bambini sono stati presi dalla polizia croata e portati in una struttura per minori stranieri non accompagnati. Le madri e i padri catturati, spogliati di ogni bene, separati dai figli, ricacciati in Bosnia. Questa é l’Europa delle missioni umanitarie in Afghanistan».
I numeri dell’Ispi e la nota del Garante
A evidenziare – numeri alla mano – le contraddizioni delle dichiarazioni d’intenti non sono solo attivisti e associazioni, nei giorni scorsi, ad esempio, lo aveva fatto anche Matteo Villa dell’Ispi osservando come negli ultimi 12 anni, l’Europa ha negato asilo a 290 mila afghani: 46 mila avevano meno di 14 anni, tra cui 21 mila bambine; 25 mila avevano tra i 14 e i 17 anni (tra cui 4 mila ragazze) e 30 mila erano donne adulte. Tre quarti di loro sono ancora in Europa (qui lo speciale “Afghanistan: l’Europa al varco”).
Intanto il Garante nazionale delle persone private della libertà personale invita le autorità italiane a «interrompere a tempo indeterminato e immediatamente qualsiasi allontanamento di persone, anche indiretto, verso l’Afghanistan» In base ai dati raccolti dal Garante – si legge nella nota (qui integrale) –, tra il primo gennaio e il 30 aprile 2021, non si registrano rimpatri forzati di cittadini afghani dall’Italia, mentre sono quattro le persone respinte in frontiera verso l’Afghanistan e sei, tra cui tre donne, quelle riammesse in Slovenia. Sei sono transitati da Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Più allarmanti i dati del 2020: è stato realizzato il rimpatrio forzato di un cittadino afghano, sette persone sono state respinte in frontiera verso l’Afghanistan e 327, tra cui quattro 4 donne, sono state riammesse in Slovenia. Cinque sono transitati per Cpr. «È necessario un ripensamento urgente dell’attività di controllo delle frontiere nei confronti dei cittadini afghani e una riorganizzazione complessiva delle politiche di accoglienza anche a livello europeo specie per quanto riguarda la cosiddetta rotta balcanica».
Chi volesse aiutare Linea d’ombra trova qui tutte le informazioni.
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