1° gennaio 2016. Senza ombra di dubbio, oltre al consueto bagaglio di buoni propositi, l’anno nuovo ha portato con sé anche il freddo, quello vero, finora in clemente ritardo. Nulla di imprevedibile, chiaramente. Eppure — anche se è trascorso un anno da quando i primi profughi hanno iniziato a dormire all’addiaccio — anche stasera tocca, inesorabile, la conta di quanti a Udine trascorreranno la notte al freddo.
L’appuntamento è con Stefania alle 21, davanti alla stazione dei treni. Arrivo un po’ in anticipo, ma lei è già lì con Claudia, un’altra volontaria di Ospiti in arrivo, l’associazione nata un anno fa dalla mobilitazione di quanti hanno deciso di dare un primo aiuto a chi resta fuori dal sistema di accoglienza. Arriva anche Kashi, 27 anni, pakistano. Anche lui ha lunghi mesi di cammino nelle gambe e negli occhi. Una vita in fuga e un futuro in sospeso, nell’attesa di una risposta alla sua richiesta di asilo. Intanto si dà da fare come mediatore: è diventato il prezioso ponte tra i volontari e i profughi che, spesso, parlano solo la propria lingua d’origine.
Attraversiamo la sala d’attesa della stazione tra viaggiatori immersi nella lettura o rapiti dai loro smartphone. Usciamo e scendiamo le scale che portano al sottopasso. Loro sono lì, stesi per terra, avvolti nelle coperte. Tutti afghani e pakistani. «Stasera sono pochi» mi dice Stefania, appena 15. Già perché qui, settimane addietro, hanno dormito anche 100 persone. Evidentemente la stretta ai confini e la triste ricomparsa del filo spinato in Slovenia (e non solo) stanno contenendo il flusso degli ingressi. Ma non è l’unica spiegazione. I volontari mi raccontano infatti che negli ultimi tempi è maggiore il numero di persone accolte nelle tende allestite alla caserma Cavarzerani (siamo a quota 400). Le continue denunce, le foto sui social network hanno smosso qualcosa.
Nel frattempo arrivano anche gli altri volontari. Nel vederli i volti di questi ragazzi, infagottati e infreddoliti, si accendono di sorrisi. I volontari si muovono in fretta, ogni gesto è reso più svelto da mesi di apprendistato qui, come al Parco Moretti o in altri luoghi della città diventati giacigli improvvisati. Uno dei ragazzi si alza e dà una mano nella distribuzione del tè caldo e di qualche dolcetto, si accorge che sto facendo delle foto e allora si mette in posa e, sorridendo, mi chiede uno scatto.
Nel frattempo Kashi ascolta e traduce le necessità di ognuno: qualcuno chiede una maglia in più o un paio di calzetti. Spuntano allora i sacchi con gli indumenti, divisi per tipologia così da rendere la distribuzione più veloce. I ragazzi si provano i vestiti. Ridiamo perché uno di loro si ostina con un giaccone che però si rivela irriducibilmente piccolo. Ride anche lui, si arrende e ne cerca uno più grande. Scalda il cuore sapere che tutto è stato donato da cittadini o da associazioni del territorio, una mobilitazione silenziosa, ma operosa, che ha risposto agli appelli che, di volta in volta, si sono rincorsi sui social network o con il semplice passaparola. Qualcuno chiede anche qualcosa per il mal di gola, non è difficile immaginare che a star qui sotto ci si ammali.
Intanto arrivano altri quattro ragazzi, uno di loro si avvicina subito a Kashi e spiega che i suoi tre compagni sono “nuovi”, lui invece no: è a Udine già da un po’ e dorme alla Cavarzerani. Chi non sa dove ripararsi viene indirizzato qui perché troverà almeno una coperta e qualcosa da mangiare. E, infatti, così è. Subito i volontari danno loro vestiti adeguati e le coperte per affrontare la notte.
E poi succede quello che non ti aspetteresti mai in una situazione del genere. Uno di loro canticchia, ha una bella voce, viene sollecitato dagli altri. Prende coraggio e in un attimo il sottopasso della stazione si riempie di un bel canto in una lingua lontana. Lo accompagnamo battendo le mani a ritmo. Un altro ragazzo con un balzo si mette a ballare a piedi nudi. A volte dimentichiamo che la voglia di vita e di futuro è più forte del freddo, più forte di tutto.
È ora di andare. Salutiamo i ragazzi. L’immagine di quella realtà sotteranea, lo sguardo che si chiude su quella riga di bozzoli aggrappati alla vita è un pugno nello stomaco.
Salendo le scale parliamo della situazione. Il ritardo nell’organizzazione dell’accoglienza è ormai cronico. Alla Cavarzerani — dove la capienza è di 200 persone e ne dormono 400 — i tempi per la consegna della seconda palazzina si sono allungati; inoltre, da quel che si sa, manca l’acqua calda; nelle tende, allestite sotto la tettoia di un vecchio hangar, fa freddo, praticamente come in strada. Un comunicato stampa della Regione, datato 22 dicembre, annuncia che si provvederà a realizzare, con fondi della Prefettura, un impianto di riscaldamento nella palazzina dove i lavori di adeguamento si sono conclusi. Peccato che sia già gennaio e il freddo non abbia aspettato le delibere.
Anche il territorio non ha risposto alla richiesta di “accoglienza diffusa” come ci si sarebbe attesi, per alleggerire le città ed evitare la concentrazione dei richiedenti asilo solo in determinate aree. Le paure sono più che legittime sopratutto se viene lasciato spazio solo ad esse e non viene fatto un reale accompagnamento delle comunità. Anche su questo fronte c’è moltissimo lavoro da fare.
Saluto Stefania e Kashi. Torno alla macchina. Sono gelata per essere stata qui appena un’ora, non oso immaginare cosa voglia dire trascorrerci una notte intera. Posso solo augurarmi che il 2016 sia un anno di conquiste in dignità, giustizia ed umanità. Intanto servono coperte, sacchi a pelo e stuoioni, chiunque avesse questo materiale lo può portare al Ciroclo Misskappa (a Udine, in Via Bertaldia 38) mercoledì 6 gennaio dalle 15 alle 17 oppure gli altri altri giorni dai Padri Saveriani in Via Monte San Michele 70 contattandoli prima al numero 0432-471818 per controllare che siano presenti.
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