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Cronaca e Jian raccontano il dramma della «one child policy» cinese

Prendo spunto da una conversazione intavolata ieri sera su Cina, ambiente e politica del figlio unico, per un consiglio di lettura. Il Corriere della Sera di ieri riportava la cronaca di un fatto che, nella Repubblica popolare, è la regola, ma – nel caso di una coppia di ventenni di Pechino – ha trovato (prima che il governo censurasse la notizia) un minimo di visibilità sui social network.

I due giovani sono stati multati perché hanno messo al mondo una figlia senza la necessaria autorizzazione (nello specifico perché non sposati). Se non previsto dalla pianificazione familiare, infatti, un bambino non può nascere. In caso contrario scatta la “tassa per il mantenimento sociale” che nello specifico ammonta a 43 mila yuan, 6 mila euro. Una cifra qui da noi significativa, ma che per la Cina è quasi insostenibile se si pensa che il reddito medio di una famiglia di città è di circa 4.300 euro l’ anno. E chi non può pagare deve abortire.

La via oscura

Arrivo quindi al libro. Lo scrittore Ma Jian racconta la politica del figlio unico (in vigore dal 1979) e le vessazioni inumane che ne conseguono – aborti all’ottavo mese, infaticidi e sterilizzazioni forzate – in La via oscura edito da Feltrinelli. Lo fa attraverso la storia di Kongzi, maestro di paese, settantesimo discendente di Confucio, e la moglie Meili, protagonista assoluta.

I due iniziano una fuga (al limite della sopravvivenza) con la loro prima bambina, sul fiume Yangtze, nel disperato tentativo di far nascere il secondo figlio, naturalmente non autorizzato. Jian aveva già toccato il tema della “disobbedienza procreativa” in Le rane. Le vicissitudini, come è facile immaginare, sono tragiche e la loro gravità si amplifica se – guardando alle stime – si pensa che sarebbero 400 milioni le nascite che sono state evitate a causa di questa politica.

Gendercide

Ma il libro fa luce anche su un preciso risvolto della politica del figlio unico, quello che in un articolo apparso su The Economist, nel 2010, è stato chiamato «Gendercide»: la sistematica eliminazione dei nascituri femmine. Già, perché – sulla scia di un retaggio misogino – se il figlio può essere uno solo, si preferisce che sia maschio. Qui sotto un’eloquente infografia della Hbo. Ma non è questo l’unico tratto di misoginìa ad emergere, la violenza che il corpo di Meili subirà a più riprese è infatti lo specchio di una visione degradante ed arretrata della donna.

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Nuove norme

Va detto che, dal 2013, il governo di Pechino ha concesso delle piccolissime aperture e qualche alleggerimento della normativa. Sia chiaro, non per bontà d’animo. Da tempo infatti la “one child policy” sta producendo un effetto opposto a quello voluto: il tasso di natalità è sceso a 1,6, toccando un livello inferiore rispetto a Usa e Regno Unito (nel 1970 era al 5,8), mettendo in difficoltà il futuro dell’economia cinese.

La denuncia ambientale

Ma Jian – che è esule e censurato in patria – trova il modo, in questo romanzo, di raccontare efficacemente anche il disastro ambientale che il gigante orientale sta vivendo. Discendere lo Yangtze con questi tre fuggiaschi costringe, infatti, a guardare la violenza che il territorio cinese ha subito, pagando il conto pesantissimo di un alto tasso di sviluppo senza regole, protagonista del miracolo economico cinese.

Una lettura che impone domande e sollecita a interrogarsi sulle nostre scelte di consumatori.

 

 

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