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Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli

«Ho vissuto tanto, qualcosa l’ho capita, qualcun’altra no. Per esempio ho capito che l’intelligenza è sopravvalutata, come la stupidità sottovalutata, che bene e male esistono veramente, che l’uomo può perdere tempo prezioso in mille modi stupidi, il più stupido di tutti è giudicare gli altri, perché è troppo facile, perché non serve né a noi né agli altri».
Daniele Mencarelli / Tutto chiede salvezza / Mondadori

Me lo avevano mandato, insieme ad altri libri, poco prima della quarantena. Lo avevo messo da parte perché la copertina (che tutt’ora trovo poco azzeccata) mi aveva allontanato dalla sua lettura, in un periodo in cui di ansie esistenziali — personali e collettive — ne avevo già a sufficienza. Ora, invece, non che ad ansie vada meglio, ma complice il Premio Strega (Mencarelli è nella sestina finalista e ha vinto lo Strega Giovani), l’ho tirato giù dallo scaffale in cui l’avevo relegato e l’ho letto tutto d’un fiato.

Mencarelli racconta la malattia mentale, in prima persona, attraverso sette giorni di TSO (trattamento sanitario obbligatorio) e lo fa con quel dono prezioso — tanto nella scrittura quanto nella vita — che è il saper tenere insieme la profondità delle cose a un passo leggero.

Sono pagine che di dolore ne hanno parecchio, dense di pugni nello stomaco, di vite che da un giorno all’altro esplodono e di altre che storte ci sono proprio nate. Sono pagine però scritte da chi non ha mai smesso di cercare la bellezza e che nemmeno si è stancato di mostrarla agli altri, nonostante tutta la fatica della sua vita. Ci si emoziona (tanto), ma si sorride pure e si impara molto mettendosi in ascolto di questi sei pazzi «indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita».

***E a me è cara questa frase di Mario: «Chiedi aiuto quando serve. Ma lascia il tuo sguardo libero, non farti raccontare il mondo da nessuno».

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