Rete solidale Pordenone

A Pordenone «Rete solidale» ce la fa: i sessanta profughi ora hanno un tetto, ma è vittoria solo a metà

Oggi avrei dovuto scrivere di Ospiti in arrivo, della splendida esperienza di collaborazione con il Css, di ritmo e di percussioni. Ma cedo all’attualità, rimando a domani, e qui dedico una piccola finestra all’aggiornamento sulla situazione di Pordenone. Da giorni una sessantina di ragazzi pakistani e afghani dormiva all’addiaccio, sul sagrato della chiesa di via della Libertà. Chiaramente fuori dal sistema di accoglienza. Ad occuparsi di loro, in modo particolare, la Rete solidale di Pordenone che si è (ancora una volta) mobilitata per raccogliere coperte, vestiti e scarpe; organizzando i volontari in turni per la preparazione dei pasti, lo stoccaggio delle donazioni e molto altro ancora.

Così ieri sera ho gioito quando è arrivato un sms che mi annunciava che quei ragazzi avrebbero finalmente avuto un posto dove dormire, la Casa della Fanciulla dell’Opera Sacra Famiglia, in via Poffabro. Oggi ho sentito i volontari e, a Luigina Perosa, ho detto: «Complimenti, ce l’avete fatta». A lei, però, è toccato subito ridimensionare il mio entusiasmo: la vittoria è quantomeno opaca. I ragazzi hanno infatti dormito in un locale non riscaldato, senza possibilità di lavarsi. Stamattina alle 8.30 hanno dovuto lasciare lo stabile e stasera potranno farvi rientro solo alle 20. O meglio, per essere corretti, alle 19, perché -contrattando ostinatamente – Rete solidale è riuscita a strappare un’ora in più.

Certo, avere un tetto è infinitamente meglio che dormire in strada, ma quel tetto-precario e improvvisato (trovato solo perché la questione ha avuto un clamore mediatico, grazie a Rete solidale)-mette in evidenza la carenza e frammentazione del sistema. Nessuno vuole strutture che vedano alte concentrazioni di profughi, sono fallimentari, degradanti: una bomba sociale. L’unica soluzione che tuteli comunità e migranti è l’accoglienza diffusa (e partecipata) sul territorio. Ma il rovescio della medaglia di questa scelta virtuosa non può essere che chi arriva, ed è “fuori accoglienza”, dorme sui marciapiedi delle nostre città. Non è umanamente accettabile per queste persone, e non è tollerabile per i cittadini. Diventano allora indispensabili, sul territorio, strutture per la prima accoglienza. Che siano caserme dismesse o altre realtà, poco importa. E questa-è importante ricordarlo- non è una questione arrivata fra capo e collo delle istituzioni regionali (e non solo) da un paio di settimane, ma tiene banco almeno da un anno, come ha ricordato recentemente don Pierluigi Di Piazza in una (bellissima) lettera aperta al Consiglio regionale. Un bel banco di prova anche per le UTI di Panontin. Intanto stanno arrivando altri ragazzi, una cinquantina, in transito verso Pordenone, mi ha spiegato Perosa, sono stati segnalati dal presidio di Portogruaro.

Nei prossimi giorni torneremo a raccontare più approfonditamente di Pordenone.

Foto in alto di Rete solidale Pordenone

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